Il 12 aprile, a Verona, presso Palazzo Barbieri.
Evento su invito.
Per la formazione della “Scuola ComuniCiclabili” interventi di:
Christophe Najdovski, Vicesindaco di Parigi e Presidente ECF “Parigi, città della bici e del pedone” (videoconferenza)
Niccolò Panozzo, Project Manager di ECF
“Il Circuito europeo Cities and Regions for Cyclists”
Janez Kozeli, Vicesindaco di Lubiana
“La capitale slovena, città car free” (videoconferenza)
Francesco Sbetti, INU, Direttore di Urbanistica Informazioni, “Il Patto per l’urbanistica italiana”
di Raffaele Di Marcello
La European Cyclists’ Federation (ECF) ha predisposto un rapporto che esplora i collegamenti tra disponibilità di parcheggi protetti per biciclette e auto e l’impatto sulla scelta del trasporto.
Il rapporto, intitolato “Costruire edifici adatti per la mobilità sostenibile” (Making Building Suitable for Sustainable Mobility), evidenzia che, se c’è un parcheggio facile e comodo disponibile all’inizio e alla fine del viaggio di una persona, per una specifica modalità di trasporto, è molto più probabile che venga scelta quella modalità di trasporto rispetto a un’altra. I decisori politici devono, pertanto, tenere conto del parcheggio delle biciclette quando promuovono la mobilità ciclisitca.
Sembrerebbe un’ovvietà ma, in Italia, proprio il parcheggio delle biciclette, sia su strada che all’interno degli edifici, pubblici e privati, è uno dei punti deboli per lo sviluppo della mobilità ciclistica.
La ricerca intrapresa da ECF ha individuato una grande varietà di approcci alla problematica del parcheggio ed ha esaminato 31 Stati europei. Ogni paese è stato valutato in base a due parametri: la normativa edilizia relativa al parcheggio delle automobili e l’analoga normativa relativa al parcheggio delle biciclette. I Paesi sono stati classificati come eccellenti, buoni, sufficienti o insufficienti per entrambe le categorie.
Per i Paesi i cui regolamenti sui parcheggi per biciclette sono considerati “insufficienti”, come il Regno Unito e la Spagna, l’ECF raccomanda di sviluppare, come misura minima, linee guida per le autorità locali sul parcheggio delle biciclette nei regolamenti edilizi e nelle politiche urbanistiche prima del marzo 2020. Per questi paesi, come anche per quelli che sono stati classificati come “sufficienti” come l’Irlanda e la Svezia, si raccomanda anche di introdurre un quadro giuridicamente vincolante a livello nazionale o regionale che richiededa alle autorità locali l’adozione di specifici regolamenti in materia di parcheggio.
Per gli Stati come l’Italia e l’Olanda, che dispongono di “buoni” regolamenti sui parcheggi per biciclette, l’ECF consiglia ai Paesi di analizzare se le autorità locali recepiscono correttamente la legge quadro nazionale o regionale nella normativa locale e, in caso contrario, di introdurre un minimo di requisiti a livello nazionale / regionale.
In termini di regolamenti sui parcheggi, l’ECF raccomanda ai paesi classificati come “buoni”, di introdurre un quadro giuridicamente vincolante, fissando normative per i parcheggi per biciclette a livello nazionale o regionale, o imponendo alle autorità locali di stabilire normative e requisiti per i parcheggi per bici. L’ECF consiglia inoltre che la normativa sia supportata da misure di gestione della mobilità, come la fornitura di servizi di condivisione di biciclette e car-sharing e un buon accesso al trasporto pubblico.
Riassumendo il rapporto, la valutazione dell’ECF mostra che il parcheggio delle biciclette è meglio regolamentato a livello regionale che a livello nazionale. Mentre un Paese su cinque di quelli analizzati ha requisiti minimi per il parcheggio per le biciclette a livello nazionale, a livello regionale è una Regione su tre che ha norme adeguate.
Tuttavia, poco meno del 40% dei paesi e il 14% delle regioni non ha né leggi né linee guida in vigore. Per quanto riguarda il parcheggio per bicilette, il 53% di tutti i paesi e il 75% di tutte le regioni hanno requisiti normativi minimi di parcheggio.
In Italia, in realtà, il codice della strada nulla dice in merito ai parcheggi per le biciclette, mentre la recente Legge 11 gennaio 2018, n. 2 – Disposizioni per lo sviluppo della mobilita’ in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilita’ ciclistica – riprendendo alcune norme regionali, all’art. 8 – Disposizioni per i Comuni – dispone che “I comuni possono prevedere, in prossimita’ di aeroporti, di stazioni ferroviarie, di autostazioni, di stazioni metropolitane e di stazioni di mezzi di trasporto marittimi, fluviali e lacustri, ove presenti, la realizzazione di velostazioni, ossia di centri per il deposito custodito di biciclette, l’assistenza tecnica e l’eventuale servizio di noleggio” e che “I comuni prevedono nei regolamenti edilizi misure finalizzate alla realizzazione di spazi comuni e attrezzati per il deposito di biciclette negli edifici adibiti a residenza e ad attività terziarie o produttive e nelle strutture pubbliche”
Disposizioni
che, ad oggi, non hanno sortito grandi effetti, vista la non
perentorietà della norma ed il poco interesse delle amministrazioni alla
sua applicazione.
Eppure,
come sottolineato da ECF, la possibilità di parcheggiare in sicurezza
la bicicletta aumenterebbe, di molto, l’utilizzo del mezzo per gli
spostamenti, e la presenza, nei nodi di interscambio multimodale, come
le stazioni ferroviarie o degli autobus, di “velostazioni”, favorirebbe
lo sviluppo della mobilità alternativa a quella motorizzata, con enormi
vantaggi per le nostre città.
In fondo, il discorso, rimane sempre quello, citando Fred Kent: “Se pianifichi una città per auto e traffico, otterrai auto e traffico. Se pianifichi una città per persone e spazi, otterrai persone e spazi“.
di Raffaele Di Marcello
Un
piano generale paneuropeo per la promozione della bicicletta sarà
pubblicato nell’autunno 2019. L’aspirazione del piano è raddoppiare il
numero di ciclisti nella regione paneuropea, che comprende i 54 paesi
della regione europea del Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite
(UNECE). Per molti di questi paesi, una volta completato,
l’orientamento sarà il primo passo per promuovere la ciclabilità a
livello nazionale.
Attualmente, il piano generale è in forma di
bozza e contiene cinque obiettivi politici che dovrebbero essere
soddisfatti entro il 2030:
1. Raddoppiare la quantità di utilizzo della bicicletta in Europa e assicurarne l’aumento in tutti i paesi.
2. Comprendere l’utilizzo della bicletta nelle politiche sanitarie.
3. Aumentare la sicurezza dei ciclisti in ogni paese e dimezzare i tassi di mortalità e infortunio, misurati in termini di numero di ciclisti uccisi o feriti per km percorsi ogni anno.
4. Sviluppare e attuare politiche nazionali per la ciclabilità, supportate da piani ciclistici nazionali, in ogni paese.
5. Inserire la mobilità ciclistica nelle politiche dell’uso del territorio, nella pianificazione urbana e regionale, inclusa quella per le infrastrutture.
L’iniziativa congiunta dell’WHO e dell’UNECE (sotto la guida di Austria e Francia) ha chiesto la Partnership of Cycling, che è una spin-off dell’ex National Cycling Officers Network della European Cyclists’ Federation (ECF), per creare la bozza di una strategia a livello continentale per incoraggiare la ciclabilità. Dopo 10 incontri di partenariato, la bozza avanzata del Master Plan è ora fortemente incardinata al Programma paneuropeo sui trasporti, la salute e l’ambiente (THE PEP), guidato dall’UNECE e dagli uffici europei dell’OMS e dell’Ambiente ONU. L’adozione definitiva del Piano è prevista per il 5 ° incontro di alto livello di THE PEP che si terrà tra il 22 e il 24 ottobre 2019 a Vienna (Austria).
L’ECF ha lavorato con gli sviluppatori del piano per garantire che il progetto sia il più completo e ambizioso possibile al fine di garantire che sia rilevante per i diversi paesi, anche alla luce dei diversi contesti in materia di ciclabilità.
La bozza mette in evidenza 30 raccomandazioni politiche che gli stati firmatari (così come altri) potrebbero scegliere di abbracciare per promuovere la ciclabilità, a seconda delle circostanze ed esigenze nazionali.
Da queste sono state ricavate dieci raccomandazioni più ampie:
1. Sviluppare e attuare una politica ciclistica nazionale, supportata da un piano ciclistico nazionale.
2. Sviluppare infrastrutture ciclistiche di facile utilizzo.
3. Migliorare il quadro normativo che promuove la ciclabilità.
4. Promuovere la ciclabilità attraverso incentivi e gestione della mobilità.
5. Integrare la mobilità ciclistica nei processi di pianificazione e facilitare la multimodalità.
6. Fare uso di nuove tecnologie e innovazione.
7. Migliorare la salute e la sicurezza
8. Fornire meccanismi di finanziamento efficienti e investimenti sostenibili.
9. Migliorare le statistiche sul ciclismo da utilizzare per monitoraggi e analisi comparative efficienti.
10. Promuovere il turismo in bicicletta.
I
numerosi benefici derivanti dal raggiungimento di tali obiettivi sono
evidenti; ad esempio il raddoppio degli spostamenti in bicicletta
eviterebbe 30.000 morti premature all’anno, con benefici economici
indiretti pari a 78 miliardi di euro l’anno (calcolati utilizzando
l’Health Health Assessment Assessment for Cycling Tool –HEAT– dell’OMS).
L’attuale
progetto rappresenta il culmine di cinque anni di lavoro e comprende
anche una serie di obiettivi politici intersettoriali.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 febbraio scorso il Programma di incentivazione della mobilita’ urbana sostenibile del Ministero dell’Ambiente (PRIMUS), finalizzato al cofinanziamento di progetti di mobilità sostenibile nei Comuni con popolazione non inferiore a 50.000 abitanti. Il programma ha una dotazione complessiva di 15 milioni di Euro per il cofinanziamento di progetti riguardanti le seguenti azioni:
a) realizzazione di nuove piste ciclabili in grado di rispondere alla domanda di spostamenti urbani casa-scuola e casa-lavoro;
b) sviluppo della sharing mobility in ambito urbano;
c) sviluppo delle attività di mobility management presso le sedi delle Amministrazioni dello Stato (sedi centrali e periferiche), delle Amministrazioni territoriali, delle scuole e delle università.
La documentazione completa è visibile al seguente link:
http://www.minambiente.it/pagina/primus.
I progetti devono pervenire, a pena di irricevibilita’, a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo primus@pec.minambiente.it entro e non oltre centoventi giorni da quello successivo alla pubblicazione dell’avviso in GU.
di Raffaele Di Marcello
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n. 18 – serie generale – del 22/01/2019, il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, relativo alla “Progettazione e realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche”.
L’atteso provvedimento conferma le risorse già stanziate dall’art. 1, comma 640, della Legge 28 dicembre 2015 n. 208, pari a 361.780.679,60 euro, e stablisce le modalità di individuazione e di realizzazione degli intervent, interventi che saranno gestiti dalla Regioni e dalle Province autonome interessate, a seguito di specifici protocolli di intesa tra le stesse ed il Ministero.
Per la ripartizione delle risorse il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti attende l’invio da parte delle Regioni degli studi di fattibilità, finanziati con circa 5 milioni di euro nel maggio 2017, che dovrà avvenire entro il 31 dicembre di quest’anno.
Le ciclovie interessate sono:
Il Decreto contiene anche, all’allegato 4, i requisiti di pianificazione e gli standard tecnici di progettazione delle Ciclovie.
I requisiti che devono essere posseduti dalle Ciclovie sono stati distinti in “requisiti di pianificazione”, che ricomprendono gli elementi territoriali, naturali e/o antropici, che costituiscono il quadro di riferimento propedeutico alla progettazione, e “standard tecnici di progettazione”, a loro volta suddivisi in ulteriori sotto-requisiti definiti con tre livelli: minimo, buono ed ottimo.
Previsto anche il modello della segnaletica di indicazione e informazione, che viene uniformata per tutte le Ciclovie e, si spera, che verrà adottata anche per i percorsi ciclabili non appartenenti al Sistema delle Ciclovie Nazionali (magari inserendolo nel Codice della Strada e nel relativo regolamento).
Non resta che aspettare l’avvio dei lavori per vedere, finalmente, iniziata quella che FIAB aveva già individutato come rete ciclistica nazionale BicItalia, che doterebbe il nostro Paese di una infrastruttura fondamentale per il turismo e per la mobilità sostenibile.
di Raffaele Di Marcello
Se il 2016 è stato l’Anno nazionale dei cammini, il 2017 dei borghi e il 2018 del cibo italiano, il 2019 è l’anno del turismo lento. Lo annunciava, il 4 novembre 2017, l’allora ministro Franceschini, sul sito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che all’epoca si occupava anche di Turismo, in occasione della presentazione dell’Atlante digitale dei cammini, il portale del Mibact dedicato a chi vuole viaggiare in Italia a passo lento.
“Il 2019 Anno del turismo lento sarà un ulteriore modo – aggiungeva il ministro Franceschini – per valorizzare i territori italiani meno conosciuti dal turismo internazionale e rilanciarli in chiave sostenibile favorendo esperienze di viaggio innovative, dai treni storici a alta panoramicità, agli itinerari culturali, ai cammini, alle ciclovie, ai viaggi a cavallo. Investire sul turismo sostenibile – concludeva Franceschini – è una strategia di sviluppo che ha come fine la tutela e la riproposizione innovativa di luoghi, memorie, conoscenze e artigianalità che fanno del nostro Paese un luogo unico: un circuito di bellezza straordinariamente diffuso lungo tutto il suo territorio fisico, e lungo un arco di secoli di civiltà. Una strategia fondamentale per governare la crescita dei flussi turistici che ci attendiamo per i prossimi anni”.
Il 2019 è arrivato, ed ora di Turismo si occupa il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali che assume anche la denominazione “e del Turismo”, in virtù della Legge n. 97 del 09/08/2018, che ha trasferito le relative competenze dal Ministero per i Beni e le attività Culturali, ma, per ora, sul sito ufficiale del Mipaaft non si trova nulla in merito. Attendiamo novità, ricordando che l’utilizzo della bicicletta, insieme all’andare a piedi, è elemento fondamentale del turismo lento, turismo dove, per lentezza, non si intende solo la velocità di spostamento ma anche, e soprattutto, il tempo di godimento dell’esperienza turistica, tesa a privilegiare la conoscenza dei luoghi, della loro storia, dei loro abitanti, degli usi e dei costumi, delle tradizioni, del cibo… insomma un turismo fatto di esperienze, che rimangono, e che portano il viaggiatore a ritornare, sentendosi non ospite ma parte attiva del territorio che visita.
Negli anni passati, per sviluppare il turismo in bicicletta, molto è stato fatto, ma non basta. L’inizio della costituzione della “Rete Nazionale delle Ciclovie Turistiche”, sulla base della rete ciclistica nazionale BicItalia, ideata da FIAB; l’approvazione della Legge 11 gennaio 2018, n. 2, contenente “Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica”, che ha fatto seguito a numerose leggi regionali in materia; il finanziamento di molti tratti di percorsi ciclabili. Ma è solo un inizio, che deve portare l’Italia a dotarsi di una estesa rete di percorsi ciclabili, sia a fini turistici che di mobilità giornaliera, valorizzando territori, paesaggi, aree protette e luoghi di storia e di cultura, utilizzando anche quell’immenso patrimonio costituito dalla fitta rete di percorsi rurali, a bassissimo traffico veicolare, già esistente, che potrebbe essere reso immediatamente fruibile per il turismo lento anche solo adottando apposita segnaletica e facendo attenzione alla manutenzione del fondo stradale.
In sintesi ci aspetta un 2019 ricco di aspettattive. La FIAB è pronta, e la rete ComuniCiclabili potrà essere uno degli strumenti per la promozione di questa tipologia di turismo; aspettiamo che, come per ogni viaggio, le istituzioni facciano il primo passo (o diano il primo colpo di pedale).
di Raffaele Di Marcello
La cosidetta “Legge di Stabilità (Legge 145/2018) contiene poche novità per la mobilità ciclistica. A fronte dei cospicui incentivi per le stazioni di ricarica per auto elettriche e per l’acquisto di queste ultime (art. 1, comma 1039 e comma 1057), per la realizzazione di “autostrade ciclabili” (sarebbe stato meglio definirle ciclovie) vengono destinati 2 milioni di euro (che, in pratica, fanno circa 70 km di nuova infrastruttura), senza, peraltro, collegare il finanziamento a interventi programmati quale il Sistema delle Ciclovie Turistiche Nazionali.
Ma, pochezza di fondi a parte, a preoccupare di più è l’art. 1, comma 103, della legge che, testrualmente, recita “all’articolo 7 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo il comma 9 e inserito il seguente: 9-bis. Nel delimitare le zone di cui al comma 9 i comuni consentono, in ogni caso, l’accesso libero a tali zone ai veicoli a propulsione elettrica o ibrida“.
In pratica, in base alla nuova norma, le auto ad alimentazione elettrica o ibrida (ad alimentazione a benzina o gasolio con motore ausiliario elettrico), potranno accedere, liberamente, nelle aree pedonali o nelle zone a traffico limitato o nelle aree di rilevanza urbanistica, vanificando, così, il senso stesso di tali aree. Quello che è sfuggito al legislatore, infatti, è che il “problema” del traffico veicolare è si quello ambientale dovuto alle emissioni, ma è anche, e in ambito urbano soprattutto, quello dell’occupazione dello spazio urbano.
Le aree pedonali, o con traffico limitato, o considerate di rilevanza urbanistica, sono istituite, come recita il comma 9 dell’art. 7 del codice della strada, “tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull’ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio“. Far entrare, liberamente, autovetture, seppure ad alimentazione elettrica, in spazi prima liberi dall’ingombro di auto, furgoni e simili, vanificherebbe il senso stesso della limitazione, facendo un passo indietro di decine di anni, quando le auto occupavano le piazze, gli slarghi, le vie, di centri storici e aree urbane di pregio.
E se, qualche anno fa, si sarebbe potuto obiettare sugli effetti della norma, evidenziando la rarità delle auto elettriche, o ibride, in circolazione, oggi, incentivandone l’acquisto, potremmo, a breve, vedere le piazze delle nostre città storiche, di nuovo occupate da centinaia di vetture, ecologicamente impeccabili (più o meno) ma ugualmente ingombranti, e pericolose, come le auto alimentate a benzina o a diesel.
Che dire? Che sia stata una grossolana svista o la volontà di incentivare ulteriormente l’acquisto di veicoli elettrici è il caso di correre immediatamente ai ripari e cambiare la norma. E magari ricordarsi che, nelle aree pedonali, le biciclette (i velocipedi, come definiti dal Codice della Strada) possono circolare da sempre, e converrebbe incentivare l’acquisto di questi, magari a pedalata assistita, magari invogliando a trasformare la logistica di prossimità (la consegna delle merci nell’ultimo miglio) da motorizzata a ciclistica, con l’uso di cargo bike, come accade in diversi Paesi europei. Ricordandosi che nelle aree pedonali il commercio prospera, gli immobili valgono di più, i cittadini sono più felici e le città riconquistano il loro ruolo sociale.
E ricordiamo anche il documento proposto da FIAB ai candidati delle ultime elezioni politiche, relativo alla “dieta del traffico“, che molti hanno condiviso ma pochi, evidentemente, compreso. Rileggerlo potrà essere utile.